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venerdì 31 luglio 2015

"Antonio. Punto e a capo!" - decimo capitolo

UN MAGNIFICO PAVONE


- Avanti – si è sentito dire. Siamo entrati. Prima Malinda, poi io, ma non ho visto nessuno. La stanza era molto grande e molto diversa dalle solite che sono abituato a vedere. C’erano dei finestroni enormi, altissimi quasi fino al soffitto, incorniciati da listelli di legno chiaro. Per terra i nostri passi erano attutiti dal parquet, anche quello di legno chiarissimo. Sparsi qua e là c’erano dei cavalletti con delle tele sopra: alcune scoperte, alcune coperte da teli drappeggiati … sul pavimento, in un angolo, cartoncini con dei bozzetti, studi, schizzi e un lungo tavolo, sempre di legno, con pennelli, colori, barattoli misteriosi. Per la prima volta in vita mia, eccomi nello studio di un pittore, ho pensato intimorito e attento a non pestare o urtare niente.

- Signora, è arrivato il compagno di classe di Stefano … ma lui non è ancora tornato … così le ho portato il bambino, per farglielo conoscere ….

- Oh, grazie Malinda, ha fatto benissimo – ha risposto la voce – scusatemi, scendo subito.

Solo allora mi sono accorto che Malinda teneva il viso rivolto verso l’alto mentre parlava, così ho seguito il suo sguardo ed ho notato una scala che introduceva a un soppalco.

Poco dopo è apparsa una signora. Alta, magra, con un vestito a tunica lungo fino ai piedi, decorato da bellissimi colori, che mi ha ricordato il piumaggio di un pavone. Mentre scendeva le scale, i capelli, che teneva raccolti con il manico di un pennello, si sono sciolti e le sono ricaduti sulle spalle: castani dorati, ondulati e bellissimi … come poteva essere che questa fosse la mamma di un tipo scialbino come Stefano?

Mentre scendeva, con un portamento da regina, non smetteva di sorridermi.

- Ciao! Perdonami se sono in disordine, ma stavo preparando dei colori – mi ha detto, stringendomi la mano e indicando il suo vestito. Solo allora mi sono accorto che la bellissima tunica era in realtà un normalissimo camice tutto sporco di colori. La scoperta non ha comunque offuscato la mia ammirazione. Mi sembrava quasi mi girasse un po’ la testa ed ho cominciato a fantasticare che in realtà quella casa fosse fuori dal mondo reale, abitata da una fata buona di nome Malinda e da una regina prigioniera insieme al figlio, trasformato in ranocchio da un orco studioso ….

- Buongiorno signora. Io sono Antonio – le ho detto, deglutendo due o tre volte, per eliminare quel senso di irrealtà.

- E io sono Giaele, la mamma di Stefano – ha risposto, continuando a tenermi la mano fra le sue e piantando i suoi occhi violetti nei miei.

– Devi perdonare il ritardo di Stefano. Questi pomeriggi lo assorbono sempre molto e perde il senso del tempo …

- Signora, forse … sa, si conoscono ancora poco …

- Sì sì Malinda, ha ragione, come sempre … il nostro bambino è molto riservato, non è vero? - ha concluso, indirizzandole un sorriso affettuoso. Poi si è rivolta di nuovo a me.

- Malinda è con noi da quando Stefano è nato e non c’è nessuno che lo conosca meglio di lei …

- Se non ha più bisogno di me …– ha risposto allora Malinda, schermendosi – e, all’annuire della signora, si è eclissata nel dedalo di corridoi della villa.

- Bene Antonio, eccoci qui. La maestra mi ha spiegato questo programma “di scambio” che ha ideato. Sembra che tu sia benvoluto da tutti in classe: qual è il segreto del tuo successo? - mi ha chiesto scherzosa.

- Nessun segreto, io … mi viene naturale – ho risposto, stringendomi nelle spalle – e poi in realtà, a pensarci bene, in questo momento ho perso proprio gli amici a cui tenevo di più. Gennaro, che era come un fratello per me, e Valentina che … beh, ho sempre avuto un debole per lei, era un’amica davvero speciale – ho confessato, arrossendo un po’. Quindi mi sa che ho poco da insegnare a Stefano, altro che “esperto”! Sto proprio attraversando un periodo nero!

- Uhm, un periodo nero ... - ha mormorato lei un po’ pensierosa – però, a parte loro due, avrai anche altri amici, no?

- Sì, ma amici così, compagni di scuola o che vedo agli allenamenti di atletica, ma non amicissimi – ho cercato di spiegarle.

- Ah, capisco … - ha risposto lei, riflettendoci su - comunque Stefano mi ha detto che sei simpatico, quindi forse fra un po’ potreste diventare amicissimi anche voi due, no? Sempre se ti va …. Beh, se Stefano fosse qui, mi avrebbe già fulminata! Non sopporta che gli cerchi degli amici! Dice che mi comporto da mamma super apprensiva!

- Mi scusi signora, ma secondo me non dovrebbe preoccuparsi. In questi giorni che siamo stati di banco insieme, un po’ abbiamo parlato e lui mi ha detto che non c’è bisogno che mi affanni tanto per farlo integrare, perché a lui non importa niente dei nostri compagni di classe … beh, a parte Marco, il suo ex compagno di banco, che ha perso per colpa mia! Insomma, mi ha detto che lui ha già un sacco di amici, anche se non sono nella nostra scuola.

-Ah sì? Allora ti ha parlato dell’istituto?

Lì per lì non sapevo come rispondere, perché questa faccenda dell’istituto che tutti continuavano a nominare mi stava incuriosendo e avrei voluto che si facessero uscire qualche informazione in più. Però la signora Giaele mi guardava negli occhi, aspettando una risposta, e non ho avuto il coraggio di mentirle.

- No. Non so niente dell’istituto. Non so nemmeno cosa sia.

- Bravo Antonio – ha risposto lei – hai detto la verità, malgrado tu fossi molto curioso … te lo leggo negli occhi. Sei un ragazzo in gamba. Vorresti dirmi di chi ti ha parlato?

- Beh - ho cominciato titubante, cercando di ricordare i nomi – mi ha parlato di un certo Emilio, per esempio. Un tipo fortissimo, sempre a caccia di avventure ...

- Salgari - mormora lei, annuendo.

- … e poi uno straniero … Hector, mi pare: un tipo riflessivo e taciturno. Ci studia insieme a volte.

- Malot.

- Beh, non so … il cognome non me l’ha detto! E Giulio anche … di lui invece mi ha detto che da grande farà l’inventore, perché è uno che riesce sempre a guardare oltre, a ideare cose fantastiche …

Sembra pensarci un po’ su e dopo un attimo di esitazione la sento di nuovo mormorare un cognome.

–Ah, sì: Verne. E … lasciami indovinare … Mark forse? E Astrid … e Gianni … - continua lei con lo sguardo rivolto al soffitto, come se questi nomi li leggesse per aria.

- Sì! Mi ha nominato un sacco di ragazzini stranieri … allora li conosce anche lei! Però di Gianni mi ha parlato poco, mi sa che non si vedono più tanto …

- Sì, in effetti lo trascura da un po’ – mi dice, guardandomi con uno sguardo malinconico, quasi fosse davvero una principessa prigioniera. Dopo un attimo di silenzio torna a parlare, e questa volta il suo tono suona più risoluto, come se avesse preso una decisione importante in quei minuti di silenzio.

- Vieni con me. Ti voglio mostrare una cosa – mi ha detto porgendomi di nuovo la sua mano lunga e affusolata. Senza parlare mi sono fatto guidare fuori del suo studio e ci siamo inoltrati nel castello incantato con il cuore che mi batteva all’impazzata.

 

lunedì 27 luglio 2015

"Antonio. Punto e a capo!" - nono capitolo


UNA CASA SPECIALE
 

Prima di suonare il campanello di Stefano, mi sono fermato vicino a un motorino piegando un po’ lo specchietto, per darmi una ripulita e vedere che faccia avevo. Mi sono strofinato la gora di sangue ormai secco con la saliva e mi sono passato le dita nei capelli per sistemarmi un po’ …

Ah, il problema peggiore è la faccia – ho pensato desolato.

Ero ancora così scosso da essere bianco come un cencio, molto di più del mio solito, e soprattutto avevo degli occhi che sembravano dilatati … forse un po’ pensavo già alla strada di ritorno. Forse avrei potuto farmi venire a prendere dalla mamma con una scusa, o forse … boh, ci avrei pensato dopo, adesso ero già parecchio in ritardo con tutta la faccenda che era successa.

Mi sono soffermato un attimo a considerare l’enorme cancello della villa, con accanto una targhetta di ottone e il cognome scritto in bei caratteri corsivi. Ho suonato. Una telecamera laterale a circuito chiuso mi ha inquadrato, l’ho visto con la coda dell’occhio, ma non mi sono girato. Sono rimasto fermo, di profilo, facendo finta di niente. Dopo pochi secondi il cancello si è aperto su un vialetto di ghiaia. Sono entrato e mi sono fermato, un po’ stupito, perché da fuori non immaginavo che il giardino della villa fosse così grande. Sulla destra c’era addirittura una piccola costruzione in cemento, che doveva essere una limonaia.

Intanto una signora vestita con un grembiule azzurro è venuta ad accogliermi.

– Tu devi essere Antonio, vero? – mi ha domandato sorridendo e scoprendo una fila di denti bianchissimi. Dopo la brutta avventura di poco prima, la sua gentilezza mi ha sollevato enormemente.

- Sì, sono Antonio. Piacere di conoscerla, signora Beligni – ho risposto con calore.

A quelle parole il sorriso della signora si è tramutato in una gustosa risata.

- Magari fossi io la signora, piccolo – mi ha risposto, non riuscendo a smettere di ridere – ma devo confessarti che hai comunque davanti il capo di casa. Beh, dopo i signori, ovviamente. Piacere di conoscerti, sono Malinda, la governante. Vieni che ti offro qualcosa da bere: hai una faccia che sembra tu abbia visto un fantasma … - ha esclamato mettendomi amichevolmente una mano sulla spalla. Poi ha seguitato, abbassando un po’ la voce - e vediamo cosa si può fare anche per quella macchietta di sangue sulla maglietta – ha concluso guardandomi di sottecchi.

Oh cavolo! A quella proprio non avevo fatto caso!

- Non era sporca prima … è solo che …

- So già tutto – si è limitata a rispondere lei. – Ti ho visto prima, mentre stendevo il bucato. Da lì. Ancora un poco e chiamavo i carabinieri – ha detto, indicandomi una torretta smerlata, che si ergeva a un lato della casa.

Così non ho aggiunto altro, un po’ anche perché quella villa mi metteva in soggezione … mica mi era mai capitato di vedere un posto così! Cioè, l’avevo visto, ma si trattava sempre di dimore storiche, di ville ormai non più abitate e passate di proprietà del Comune o roba del genere …e con una governante, poi … proprio come nei film! Comunque questa Malinda sapeva di roba buona, di torta di mele fatta in casa e pagnottelle di pane sfornate calde calde … di coccole e abbracci e storie davanti al camino, mi sono immaginato sognante, mentre la seguivo in cucina, e sono rimasto zitto a fantasticare tutte queste cose, mentre lei mi versava da bere e si dava da fare a smacchiare la maglia. E con un nome così, poi, non poteva che essere una specie di fata, o creatura che ….

- Perché mi guardi così? – mi ha chiesto allora lei, interrompendo i miei pensieri, reclinando un poco la testa da un lato per guardarmi meglio.

- Niente – le ho risposto arrossendo, ma non potendo fare a meno di dire la verità – è che lei è molto simpatica e stavo pensando che ha un nome bellissimo, e stavo fantasticando che lei fosse una fata …

La sua risata è risuonata di nuovo nella cucina. Così trillante, come quella di una bambina – Benedetto bambino! - Si è limitata solo a dire – ho saputo che ti avrei adorato dal primo momento che ti ho visto! – ha detto, facendomi una carezza sulla stessa guancia che era stata colpita dallo schiaffo del Guerriero e guarendo all’istante il bruciore della vergogna.    – Hai un sacco di fantasia, eh?

- Colpa di mamma, credo. Mi ha messo in mano un libro quando avevo appena tre mesi … era un libro di gomma ovviamente, di quelli morbidi da mordere e per farci il bagno, ma un libro comunque, con tanto di storia …. Di libri in casa non ne sono mai mancati …

Solo allora mi sono ricordato del perché ero lì.

- Ma Stefano dove è?

- Oh … Stefano è in ritardo, come al solito … quando va all’istituto si sa a che ora esce di casa e non si sa a che ora rientra …

- Che istituto, Malinda? – le ho chiesto incuriosito, e con un tono confidenziale che non ha stupito ne’ me, ne’ lei. Malinda è rimasta un attimo in silenzio, titubante, forse chiedendosi se si fosse fatta scappare troppo di bocca.

- Ma tu sei amico di Stefano?

- Beh, sì … voglio dire, siamo in classe insieme e ogni tanto parliamo, ma … beh, non è un amico amico, insomma, se è questo che intende …

- E allora se non sei un amico amico, come dici tu, cosa ci fai in questa casa? Lui non invita mai nessuno, a parte Marco un paio di volte, e quindi credevo che voi due …

- Beh, più che altro credo sia stato obbligato a farlo, non so nemmeno se gli fa tanto piacere …

- Chi lo ha obbligato? – mi ha chiesto, aggrottando la fronte.

- La maestra. Diciamo che nelle sue intenzioni dovremmo avere uno scambio … tipo che lui mi aiuta in matematica, materia nella quale sono deboluccio, e io l’aiuto a sciogliersi un po’ in classe …

- Ah ecco, mi sembrava strano … beh, allora scusami Antonio, ma penso che Stefano non avrebbe piacere che ti raccontassi dell’Istituto. Mi dispiace. Dovrai aspettare di diventare suo amico per davvero. Non ne resterai deluso. Ma ora, se hai finito il tuo succo di frutta, ti porto a conoscere la padrona di casa. Vieni con me! – ha concluso sorridente. E si è avviata fuori dalla porta. Dopo aver percorso un lungo corridoio, siamo entrati in una sala molto grande e quindi di nuovo in un altro corridoio, dove Malinda si è girata facendomi segno di stare in silenzio.

- Dietro questa porta c’è lo studio del dottore … è sempre molto impegnato e non vuole sentire confusione. Studia a dei casi importanti, sai ... – ha concluso annuendo.

- Dei casi? Che casi? – ho chiesto incuriosito.

- Ah, ma allora non sai proprio niente, eh? Il signore è un avvocato importante… sta sempre a studiare dei libroni grossi così … - ha detto, facendo il gesto con la mano come a mostrare dei tomi enciclopedici.

- E che c’è scritto dentro?

- Uh! E chi lo sa? Io li spolvero e basta, di tanto in tanto … ma poche volte, perché lì dentro non ci vuole mai nessuno … ah, povero signore, è sempre tanto stanco! – conclude scuotendo la testa – io glielo dico a volte di riposarsi un po’, ma lui nulla, sempre con la testa su quei libri.

- E la signora?

- Lo studio della signora invece è qui dentro. Vieni con me. Vedrai che bello!
 
Così dicendo si è fermata davanti ad una porta di legno e ha bussato.

"Antonio. Punto e a capo!" - ottavo capitolo

GUAI IN VISTA

 
Oggi è il primo giorno che Stefano ed io dobbiamo studiare insieme. Non sta tanto lontano da casa mia e con i miei abbiamo deciso che ci andrò da solo. Devo solo percorrere la strada dove abito io per un bel tratto fino alle scuole medie e poi girare nella piazzetta: Stefano sta proprio lì. Ieri ho fatto un sopralluogo, per andare a colpo sicuro, e passando davanti alle scuole medie ho trovato un gruppettino di ragazzini con una tipa strana con tutti i capelli ingarbugliati che mi hanno preso in giro mentre passavo di lì … per la verità la tipa strana si è limitata a ridere e basta, senza dire niente, ma guardandomi come un babbeo. Me lo sentivo che non me l’avrebbero fatta passare liscia, mi sono reso conto subito che mi avevano preso d’occhio, anche se tenevo apposta lo sguardo fisso altrove. Non ero ancora arrivato davanti a loro che stavano già ammiccando verso di me e si scambiavano le solite occhiate da bulletti. Spero che oggi non ci siano, perché non ho nessuna voglia di risorbirmi le loro risate sguaiate. Cambiare strada mi porterebbe a fare un giro pesca enorme che non ho proprio voglia di fare. In più così facendo dovrei passare davanti al benzinaio che ha un cane enorme e fra i teppisti e il cane non saprei proprio chi scegliere … ah, magari il prossimo anno mi faccio iscrivere dai miei a kung-fu! Non faccio a tempo ad attraversare la strada che rivedo il gruppettino appollaiato sul muretto della scuola. La stessa tipa con i capelli ingarbugliati di ieri sta invece seduta dietro un tizio su un motorino e il deficiente, mentre chiacchiera con i suoi amici, dà delle potenti sgassate asfissiando tutti. Spero che non si siano accorti di me e sto per attraversare la strada per passare dall’altra parte del marciapiede, quando sento uno che fa:

- Oh, ragazzi! C’è la cacchetta di ieri! -

Faccio finta di non aver sentito e per non sembrare un vero pollo decido di non attraversare e di continuare imperterrito sullo stesso marciapiede. Ma loro, come immaginavo, non mollano.

- Ehi, forse la cacchetta è sorda, oltre che puzzolente.

- O magari fa il finto tonto.

- O magari non ti porta rispetto Guerriero! Neanche si è degnato di guardarti e porgerti i suoi omaggi!

- Io ho visto che ti guardava invece, e ti guardava pure male, ‘sto rosso malpelo.

- Ehi ehi ehi - fa allora il tizio sul motorino - calma ragazzi! Magari si tratta solo di un malinteso … - comincia con tono da finto magnanimo, ma lo sento che invece ha una voce minacciosa e comincio ad avere davvero paura – magari il moccioso non sa un piccolo particolare - conclude mettendo il motorino sul cavalletto e facendo scendere con un solo gesto la ragazzetta. Poi mi si para davanti. Vedo la sua maglietta che tira su un corpo perfettamente scolpito da miliardi di ore spese a fare sport – magari il moccioso non sa che la strada è nostra. Se vuoi passare di qui devi pagare una gabella, servo della gleba! Sgancia i soldi che ti ha dato mammina per la merenda!

Tutti ridacchiano e restano a guardarmi. Questo Guerriero, come lo chiamano i suoi amici, non è tanto più alto di me, ma ha muscoli infinitamente più definiti … beh, muscoli che io non credo nemmeno di avere. Mi si è avvicinato tanto che sento il suo respiro sul viso e so che devo rispondere qualcosa, ma come sempre, non so cosa!

- Io … di soldi non ne ho … - comincio un po’ titubante – e poi … - non faccio a tempo a finire la frase che mi arriva una spinta da dieci e lode e finisco dritto dritto al tappeto. Gong. Primo round. Altre risate. Possibile che non passi nessuno in questa strada per darmi una mano? Anche il negozio di materiale elettrico che c’era fino all’anno scorso qui davanti ha chiuso i battenti, soffocato dai grossi centri commerciali … quindi non posso neanche sperare nell’aiuto di Fabio, l’ex proprietario.

- Alzati pivello. Diamine, reggiti in piedi almeno per cinque minuti. Sei imbarazzante … - mi fa il Guerriero con gesto sprezzante – fuori i soldi polletto - conclude accompagnando le parole a un gesto eloquente della mano.

Mentre mi rialzo penso che in fondo potrei mettermi a correre, sennò che faccio atletica a fare? Questo mica sarà anche un centometrista per caso? Ma lui mi ha già preso per la maglietta e riavvicina la sua faccia alla mia guardandomi minaccioso, mentre con l’altra mano mi sfila il portafogli dalla tasca dei jeans. Con un gesto lo passa a un altro ragazzo che lo apre, svelto.

-Oh, questo pezzente qui ha solo cinque euro – osserva prendendo i soldi e buttando a terra il portafoglio -

- Ma neanche un cellulare hai? E dai, tiralo fuori!

- Il cellulare non ce l’ho.

- Figurati! Ce l’hanno tutti il cellulare!

- No, io no – e mi accorgo con orrore che la mia voce non è ferma per niente e la cosa peggiore con tipi come questi credo sia mettersi a piagnucolare. Così cerco di schiarirmi la voce – nel portafoglio c’è una scheda telefonica … controlla se vuoi … se avessi un cellulare, a cosa mi servirebbe?

- E bravo il nostro piccolo cervellone – mi fa allora il Guerriero assestandomi una sberla reale. Dopo un attimo sento che dal naso mi cola giù qualcosa di caldo e istintivamente ci porto la mano … Cavolo, mi ha fatto uscire il sangue dal naso!

- Allora, per la prossima volta, impara bene la lezione: fatti comprare il cellulare in modo che possa prendertelo, diciamo così, in prestito, quando ci rivediamo! Altre risate, dalle quali spicca però una voce alterata.

- Ma la finisci oppure no, pezzo d’idiota! Guerriero dei miei stivali! Eccolo qui il coraggioso del quartiere che minaccia i bambinetti! – la ragazzina dalla testa ingarbugliata si è avvicinata a lui e senza nessuna paura lo strattona violentemente.

- Ma che cavolo stai facendo Lana?

- Che cavolo stai facendo tu, ridicolo sbruffone.

- Guerriero! Te la fai cantare dalla tua ragazza? – l’attenzione adesso non è rivolta più su di me ma su quei due e so che la cosa più saggia sarebbe darmela a gambe, ma non so come mai mi sento impiombato al suolo.

- Non sono la ragazza di nessuno, tanto meno di questo scemo – si ribella allora lei. E’ una furia scatenata e i suoi occhi scintillano di rabbia e furore: gli sta addosso come se non avesse nessuna paura di lui, ne’di nessuno, come se tutta quella banda di ragazzi in realtà non fossero che bambinotti insignificanti. Lui cerca di tenerla a bada, ma lei scalcia e si dibatte, graffia e seguita a urlargli contro e l’unica cosa che riesce a fare lui è cercare di tenerla ferma e di schivare i suoi colpi. Quando riesce alla fine a bloccarle le braccia dietro la schiena, lei fa in modo di voltarsi di nuovo verso di me.

- E tu che fai ancora qui, bamboccio? Non ti sono ancora bastate per stasera? – mi sibila con la faccia da dura, ma poi l’espressione si stempera e mi strizza un occhio, mentre nessuno la vede.

- E tu? – riesco solo a mormorarle, riconoscente.

- Io, come sempre, me la cavo da sola, grazie … e poi cosa vuoi che me ne faccia di un pivellino come te? – conclude a voce più alta per farsi sentire dal gruppo.

Si leva di nuovo un coro di risate sguaiate.

Così, con un misto di sollievo e umiliazione, mi sbrigo a filarmela. Ho le guance in fiamme per la vergogna per quello che è successo e forse anche un po’ per aver lasciato quella Lana lì con loro, forse nei guai … o forse no … d’altra parte se sono suoi amici, lei non deve essere tanto meglio di loro.

"Antonio. Punto e a capo!" - settimo capitolo


ANTHONY?!

 

- Buonasera signora, sono Antonio. Posso parlare con Valentina?

- Oh, Antonio! E’ da un po’ che non ti sentivo! Tutto bene? – mi risponde la voce sempre allegra della mamma di Vale.

- Sì sì, grazie.

- Vado a chiamartela subito – e sento i suoi passi svelti che attraversano il piccolo corridoio. Chissà cosa starà facendo Valentina. Quasi quasi farei volentieri un salto a casa sua a trovarla.

- Pronto?

- Ciao Vale! Che fai di bello?

- Oh, Anthony, ciao. Niente di particolare. Tu?

- Che ne dici se ci vediamo? Posso venire a trovarti?

- Uhm … mi piacerebbe, ma c’è Linda qui da me.

- Ah … - mormoro, senza riuscire a mascherare la delusione. Poi mi riprendo - Vabbè, ma ti scoccia se vengo anch’io? – in fondo questa Linda deve essere proprio simpatica se Vale ci sta tanto bene insieme. Lei sembra esitare e le sento parlottare un po’.

- Beh, in realtà stavamo parlando … sai com’è … noi ragazze passiamo un sacco di tempo a chiacchierare e a confidarci e se ci sei tu …

- Cosa?

- … se ci sei tu non possiamo parlare liberamente, no? – conclude spazientita dal fatto che io sia così ottuso, ma poi riprende più calma – magari ci vediamo un'altra volta, va bene? Facciamo domani? Dopo la scuola?

-Devo andare agli allenamenti … ma dopodomani però …

-Vado al cinema con Linda e la sua mamma.

-E il giorno dopo?

-Giovedì vado a danza e venerdì festeggiamo il compleanno di Guia.

-Ah, non sapevo facesse una festa …

-Sì, ma siamo poche, la fa a casa sua e siamo tutte femmine ….

Stavo per chiederle se avevano qualcosa contro i maschi, ma poi ho preferito lasciar stare.

-Vabbè, allora facciamo così: quando trovi un minuto di tempo anche per me, telefonami! Ciao. – le ho detto asciutto, ripensando con stizza a quando solo l’anno scorso mi abbracciava stretto stretto e mi diceva “Oh Tonino, ti voglio bene 103”.

- Ma Tonino … - ha iniziato lei con voce un po’ lamentosa, come se volesse dire chissà che cosa, poi invece ha abbozzato solo un ciao e ha chiuso la telefonata. Però ho fatto a tempo a sentire Linda che diceva “who cares?” che so benissimo che significa “chi se ne importa?”

-Allora? - mi ha chiesto il babbo non appena si è accorto che non ero più al telefono – ti devo accompagnare da Valentina o no?

- No.

- Ah – ha detto allora lui sorpreso – mi era sembrato di capire …

- No babbo, hai capito male. Noi maschi, evidentemente, non siamo graditi ... E’ chiaro che Valentina non mi vuole più bene 103 come diceva fino all’anno scorso, ora mi vuole bene zero!

- Ah, Antonio – è intervenuta la mamma – a quest’età le bambine cominciano a stare volentieri fra loro, mica te la devi prendere: è solo un periodo.

- Anch’io stavo volentieri con Gennaro, ma se Vale mi telefonava mica le dicevo che non poteva venire con noi! Sai una cosa? Voi femmine siete troppo complicate! E poi magari fate pure le offese se ve lo facciamo notare. Puah! Ho chiuso anche con Vale! Tanto che amica è una che non si fa più sentire da un pezzo?
Il babbo e la mamma si sono limitati a guardarsi senza dire più niente, ma tanto lo sapevo di avere ragione. E’ dall’inizio dell’anno scorso che Valentina si è allontanata ed io l’ho aspettata e cercata anche troppo. Sono andato in camera mia e mi sono buttato sul letto a sfogliare un giornalino di fumetti. Clotilde è arrivata subito per sdraiarsi accanto a me ma, anziché mandarla via come al solito, me la sono tenuta accanto e abbiamo fatto un po’ di lotta, per finta naturalmente! Dopo lei mi ha fatto a pezzi il giornalino ed io l’ho lasciata fare: mica lo faceva con cattiveria, lei. E’ ancora così piccola!

venerdì 24 luglio 2015

"Antonio. Punto e a capo!" - sesto capitolo



IL GIORNO DOPO

 

-         Uffa mamma! Ma mi stai ascoltando? Gennaro mi ha fregato!

-         Intanto cerca di calmarti! E’ da quando sei tornato da scuola che continui a bofonchiare e ad agitarti e per ora ci ho capito proprio poco.

-         Sì, sì, lo so, ma mi fa fatica raccontarti tutto: io lo so già!

-         Non fa una piega! - tenta di scherzare la mamma, ma stasera non mi faccio catturare dai suoi sorrisi, ho altro per la testa. Così, rassegnato, cerco di raccontarle tutto dal principio, senza badare a Clotilde che mi tira per i jeans perché ha voglia di giocare.

-         Beh, lo sai che ieri sera ti ho raccontato che ho beccato Gennaro al campo da baseball, no?

-         Mmh mmh – annuisce la mamma attenta e invitandomi a continuare con un gesto della mano.

-         Stamani ero ancora arrabbiato, mica mi era passata, e così Leonardo mi ha chiesto cosa c’era che non andava.

-         Ma adesso non sei di banco con Stefano?

-         Me l’ha chiesto durante la ricreazione, no? – le rispondo alzando gli occhi al cielo spazientito. - E così ho raccontato a Leonardo tutta la storia perché avevo voglia di sfogarmi e poi perché così l’avrebbe abbozzata di chiedermi perché mai non andavo con lui nel corridoio, dato che c’era Gennaro che chiedeva di me …

-         Ah! Chiedeva di te e tu non sei uscito di classe per parlare con lui …

-         No.

-         E non hai voluto parlarci neanche ieri al telefono, quando ti ha chiamato …

-         No.

-         Non è una bella cosa da fare con un amico. Capisco che ieri eri arrabbiato e deluso, ma oggi …

-         Lui non è più un mio amico! Che vuoi che abbia da dire? Poteva parlarmi prima, invece di fare le cose di nascosto.

-         Scosto … - ripete Clotilde tutta sorridente. Ma non ha capito che sono arrabbiato?!

   -   Uhm, si dice che la verità di solito stia nel mezzo, Antonio …

       A  volte le strade si dividono per un po’, ma non si smette di

       volersi bene. Si può anche urlare l’uno contro l’altro, ma

       restare amici lo stesso - mi fa allora lei con l’aria da filosofa.

 Io alzo gli occhi al cielo e allora lei mi incita a continuare.

  - Insomma, via via che raccontavo tutto a Leonardo mi arrabbiavo

    sempre di più, e alla fine mi sono accorto che avevo parlato a  

    voce troppo alta e che tutti mi stavano ad ascoltare e poi il

    peggio è stato che hanno cominciato a mormorare … prima uno,

    poi un altro ed alla fine è venuto fuori che lo sapevano già tutti

    che Gennaro si allenava con la squadra di baseball … e da un

    pezzo lo sapevano! Solo io come un beota non me n’ero accorto.

    Tutti! Ci pensi? Tutti! Pure quelle due pagnottelle!

- Pagnottelle??? – la mamma sembra strabiliata.

- Ma sì, intendo Fedora e Dora! Le gemelle!

- Antonio! Non credo sia carino chiamarle pagnottelle solo perché sono un po’ in carne …. Ti ricordi quando ti chiamavano pel di carota?

- Mamma! Merenda! Pane e marmellata di more – esclama Clo, che deve non poterne più di sentirmi parlare fitto fitto con la mamma.

- La vuoi anche tu la marmellata Antonio?

- No, io vorrei pane olio e pomodoro – rispondo ancora col broncio.

- Anche io pomodoro, come Tono – salta allora su Clotilde, sgranando gli occhioni.

- Uffa! Ma perché mi copia sempre? – sbotto perché, per l’ennesima volta, Clo vuole la merenda uguale alla mia – non volevi la marmellata, tu?

- Pomodoro ho detto! Pomodoro come te! – fa allora lei battendo il piedino in terra, ostinata.

- Uh quanta pazienza ci vuole … - esclama allora la mamma – lo sai che vuole tutte le cose che vuoi tu perché ti adora, no? Vero Clo?

- Tanto bene a Tono – fa allora lei piegando la testina da un lato sorridendo. Beh, detto così mi suona un po’ meglio, però che copiona …

 

giovedì 23 luglio 2015

"Antonio. Punto e a capo!" - quinto capitolo


GUARDA UN PO’ CHI C’E’!

 
-         Com’è andata con il nuovo compagno di banco? – mi chiede la mamma non appena torno da scuola.

-         E’ andata ... - rispondo laconico – ma mi è scocciato lasciare il banco con Leonardo, lo sai …

-         Forse anche a Stefano è scocciato perdere il suo compagno di banco, no? – mi chiede senza smettere di vuotare la lavastoviglie.

-         Uhm, forse … beh, credo di sì, perché Marco era l’unico con cui legava in classe … - ammetto dopo averci pensato un po’ - che vuoi, s’intendevano a meraviglia i due secchioni!

Alla mamma scappa un risolino e solleva la testa a guardarmi.

-         E come pensi di farti aiutare? Avete deciso di studiare insieme?

-         Con la maestra abbiamo deciso che studieremo insieme almeno due volte a settimana. Non vedo l’ora di andare a casa sua, dicono che stia in una casa spaziale …

-         Spaziale?!

-         Sì, nel senso che è molto grande e bella.

-         Ah … e come fanno a saperlo, se non ha amici?

-         Boh – rispondo stringendomi nelle spalle – sono solo voci che girano … con questa storia però, va a finire che avrò molto meno tempo per vedermi con Gennaro.

-         Non ti preoccupare di questo. Se si vuole davvero vedere qualcuno, il tempo si trova … a proposito, avete fatto pace o no?

-         Non ancora … e ormai il guantone mi sa che non glielo dò più – e le racconto dei cartelli visti ai giardini. – Quindi stasera, prima di andare agli allenamenti di atletica, passo dal campo da baseball e riporto il guantone a questo Filiberto.

-         Hai preso la decisione giusta. Dato che hai ritrovato il proprietario, è giusto che tu lo renda a lui. Tanto scommetto che per fare pace con Gennaro non ci sarà bisogno di nessun regalo: vi volete un gran bene e non ce la farete a stare tanto senza vedervi! – conclude allegra scompigliandomi i capelli riccioluti.

Beata lei! Fa sempre tutto facile, penso mentre vado a cambiarmi e a preparare la borsa per atletica. Poi esco e cerco di non pensare più a Gennaro, mentre mi avvio al campo da baseball per restituire il guantone. Speriamo almeno di trovare questo Filiberto! Passo attraverso i giardini per la consueta scorciatoia e comincio a sentire i classici rumori delle palle che battono sulle mazze. Stoc, stoc. A volte quando nell’estate giocano le partite li sento anche da camera mia con le finestre aperte. Allora mi affaccio e riesco ad intravedere le luci dei riflettori e a volte sto ad ascoltare la voce dello speaker che annuncia i nomi dei giocatori. Ah! Eccomi arrivato! Meglio intanto che chieda al bar se conoscono Filiberto. Appena entrato, in un angolo vedo un ragazzetto che sta mangiando un gelato enorme, con una cupola di panna montata che non finisce più e decido di chiedere a lui.

-Fili? Certo che lo conosco! – mi risponde dando una gran leccata alla cioccolata che sta scivolando sul cono – Adesso sta finendo gli allenamenti, ma se aspetti cinque minuti vedrai che arriva. Si ferma sempre a fare merenda … ehi, ma quello non è il suo guantone? – mi chiede indicandolo.

- Già. Sono venuto a riportarglielo. L’ho trovato ai giardini.

- Se vuoi posso darglielo io.

- No no, grazie, non importa. Lo aspetto, tanto non ho da fare niente e poi mi fa piacere vedere la faccia che farà.

- Ah – mi fa lui un po’ deluso. Mi sa che voleva prendersi il merito di averlo ritrovato e si voleva pappare le patatine e la bibita!

Tanto per non rimanere lì a farmi passare ai raggi X dal leccatore folle di gelato decido di uscire di nuovo fuori e di aspettarlo sulla panchina, ma sono appena arrivato sulla soglia che vedo un gruppetto di ragazzi con le classiche tute da baseball che scherzano e chiacchierano. Poi sento dietro di me la voce del cicciotto.

- Fili! Guarda che questo ti ha ritrovato il guantone!

A sentire questa frase un ragazzetto si volta con la faccia più contenta che abbia visto da stamani mattina e mi corre incontro.

- Mitico! Mica ci speravo davvero! – mi dice assestandomi una gran pacca sulla spalla – Dai, davvero, sei un mito! Grazie per avermelo riportato!

- Beh, l’ho trovato per caso, io …

- Vieni che ti pago la ricompensa che avevo promesso! - mi dice spingendomi dentro il bar – Ti vanno bene le patatine o preferisci un gelato? Poi, senza nemmeno aspettare la mia risposta, si volta verso il suo gruppo – Ragazzi, voi non venite a prendere un gelato con noi?

C’è un coro di risposte positive dalle quali emerge un solo “no, io non posso, bisogna che scappi subito” e prima ancora che lui mi abbia visto, sono io a vedere lui. Lui con la divisa da baseball, con il cappellino con la visiera e con un lungo ciuffo nero, la pelle abbronzata. E con quella sua tipica espressione che usa sempre “bisogna che”. E anche se c’è un sole che spacca le pietre e che mi abbaglia so, dentro di me, che non mi sto sbagliando affatto: quello lì è proprio Gennaro. Rimaniamo a fissarci come due statue e all’improvviso capisco perché arrivava sempre in ritardo agli allenamenti o non veniva affatto. Ecco spiegati i suoi misteriosi ritardi: era sempre agli allenamenti di baseball! Ecco perché sembrava sempre così stanco. Ci sono un sacco di domande che mi vengono in mente e che vorrei fargli, ma la delusione del tradimento e la rabbia sono più forti di tutto il resto e, fregandomene di tutti, di Filiberto, della ricompensa e di qualsiasi altra cosa, scappo via il più veloce che posso.

- Aspetta Anto’ – sento Gennaro che mi urla dietro – Aspetta! Simmo come fratelli!

- Non più! – gli urlo prima di attraversare il cancello. E solo allora, dalla mia voce incrinata, mi accorgo di avere le lacrime agli occhi.

sabato 11 luglio 2015

"Antonio. Punto e a capo!" - quarto capitolo


STEFANO L’UNTORE

 
Quando stamani sono arrivato con la mamma a scuola, la maestra mi ha chiesto di rimanere con loro, mentre parlavano.

– E’ una cosa che ti riguarda e mi sembra giusto che tu ascolti cosa diciamo. Ormai sei grandicello e se hai qualcosa da dire sarà d’aiuto per tutti. Non è una punizione, stiamo solo cercando di risolvere un piccolo problema – mi ha spiegato, sorridendo incoraggiante.

A sentirmi dire così mi sono rilassato un po’ ed ho seguito attentamente il loro colloquio.

- Antonio è intelligentissimo, ma ognuno di noi ha il suo tallone d’Achille ... E per lui è la matematica. – Fa una pausa e si rivolge verso di me - Fino a qualche tempo fa te la cavavi. Sei un po’ peggiorato negli ultimi tempi e mi sembra giusto intervenire subito. Ci ho riflettuto a lungo e sono arrivata a una soluzione che, a mio parere, consentirebbe addirittura di risolvere un doppio problema.

A sentire queste parole io e la mamma ci siamo scambiati un’occhiata interrogativa, al che la maestra ha proseguito.

- Beh, in realtà si tratta solo di spostarsi di banco. Ho pensato di metterti seduto vicino a Stefano.

- Con Stefano? Ma è Leonardo il mio compagno di banco! Già dalla prima …

- Vi scambiate i compagni, almeno per un po’: tu con Stefano e Leonardo con Marco. Gioverebbe a tutti e due – ha concluso la maestra stringendosi nelle spalle – Stefano è il ragazzo più brillante della scuola in matematica ... ma ha altri problemi, purtroppo. Ha forti difficoltà a relazionarsi con i compagni perché …

- Per forza! – sono intervenuto allora io – tutti lo chiamano “untore”!

- “Untore”? - ha esclamato la mamma sgranando gli occhi per la sorpresa – come sarebbe a dire?

- Stefano ha già i problemi tipici dell’adolescenza: un eccesso di sebo che rende i suoi capelli piuttosto untuosi e così … - risponde la maestra, dando un’occhiata in giro per evitare che qualcuno la possa sentire. La mamma allora segue il suo sguardo e io le bisbiglio piano - Stefano è quello nel primo banco, quello con gli occhiali …- Al che lei annuisce e gli sorride quando lui alza la testa, sentendosi osservato.

- Come le dicevo – riprende allora la maestra – questo spostamento risolverebbe due problemi: Stefano aiuterebbe Antonio in matematica, e Antonio aiuterebbe Stefano a inserirsi meglio in classe. Per questo non c’è nessuno che possa farlo meglio: Antonio è apprezzato dai compagni e tutti stanno volentieri con lui. Cosa ve ne pare?

- Mi sembra un’ottima idea – ha risposto allora la mamma, che è assolutamente convinta che in ogni nuovo amico si debbano cercare dei lati positivi da acquisire – non potrà che giovare a entrambi. Sicuramente da quest’esperienza imparerete molto l’uno dall’altro – conclude sorridendo rivolta a me – non è vero?

- Uhm … Leo però ci resterà male, e anche a me dispiace – dico rivolto alla maestra. Insomma, mi sembra che intorno a me si stia facendo il vuoto degli amici più cari!

- A volte vanno fatti dei piccoli sacrifici Antonio, per il bene di tutti. So che adesso è difficile da accettare, ma lo capirai meglio …  

- … quando sarò grande! - concludo io per lei, alzando gli occhi al cielo rassegnato. Odio quando gli adulti dicono così!